“Ecco perché al PD non serve essere commissariato, ma essere rinnovato.”
Il risultato delle elezioni regionali viene da lontano.
Le Marche sono una Regione profondamente cambiata in questi decenni, e non è un fenomeno che interessa solo le Marche.
In questi anni si è lavorato molto ma forse è mancato l’ascolto delle persone e nel PD ci sono stati forti attriti interni, che non hanno sicuramente contribuito a creare un clima di fiducia e sono mancate alcune risposte ai cittadini e ai bisogni delle aree interne sulla sanità e sulle infrastrutture fisiche e digitali.
Il sentore della disfatta già si percepiva nella difficoltà di costruire alleanze: chi non ha alleati perde, è sempre stato così.’
In tutto ciò va ringraziato Maurizio Mangialardi, un grande amministratore, per la passione con cui ha fatto la campagna elettorale, credendoci fino all’ultimo.
Ora ci aspetta un compito difficile: dovremo non solo fare opposizione ma anche costruire un racconto, cosa ben più difficile, una proposta nuova per le Marche. E ci vorrà del tempo.
Per questo al PD non serve essere commissariato, ma serve un forte rinnovamento.
Abbiamo l’esempio in Umbria, dove hanno avuto oltre un anno e mezzo di silenzio, (ma non per colpa del commissario) per poi lanciare un percorso congressuale che ora sta dando la possibilità agli umbri di confrontarsi su cosa pensano della propria regione.
SI’, perché questo dovremo fare noi, dare la possibilità alle persone di dire come la pensano della nostra regione. Quali siano i bisogni, quali le prospettive.
E questo percorso va iniziato presto, possibilmente prima delle prossime elezioni amministrative, per non dare alibi a chi dice che non abbiamo compreso il messaggio che ci hanno dato i marchigiani.
Chi dovrà traghettare il percorso? Questa è la domanda che molti si pongono, ma a cui non si riesce a dare una risposta, a causa delle liti interne e dei veti incrociati.
In punta di piedi e senza nessuna presunzione di aver ragione, penso che se il commissariamento sia una strada poco generosa per la nostra regione, che ha persone in grado di gestire una fase come questa.
Dall’altra parte non può essere possibile che il gruppo dirigente che ha guidato il processo finora continui a farlo anche da adesso in poi.
E lo dice uno che ha raccolto le firme a sostegno di Giovanni Gostoli, quando si è candidato Segretario regionale, motivo per cui sono convinto anch’io che non si possano addossare responsabilità solo a chi in quel momento guida la macchina (anche perché su questa macchina ci sono stati parecchi autisti)
Mi appello quindi ai dirigenti del nostro partito, affinchè possano ragionare su una soluzione di compromesso, per esempio un comitato di garanti che possa condurre le danze e portarci ad un nuovo, importante, Congresso regionale.
Noi siamo abituati a pensare alle generazioni politiche come alle ere geologiche, ma da persona che ha sempre spinto per il rinnovamento, dico che ora c’è bisogno di tutti.
E’ però evidente che serve far avanzare una nuova classe dirigente e le giovani generazioni debbano assumersi maggiori responsabilità, ascoltando chi ha più esperienza, ma potendo contare su una necessaria autonomia.
Servirà un partito come somma di idee e di progetti e non una somma di leader.
Sulla base di questi principi dovremo ricostruire un partito radicato, basato sui territori, con un gruppo dirigente diffuso, autorevole e plurale, presente nei luoghi di vita e di lavoro, capace di coniugare il protagonismo dei gruppi dirigenti locali con i livelli regionali e nazionali e di coinvolgere persone che finora non c’erano.
Non dobbiamo avere paura di confrontarci tra noi. In maniera aperta.
In fondo ciò che è successo è anche frutto della mancanza di confronto, al nostro interno, oltre che ad una mancata comprensione di come era cambiata la nostra Regione.
Ed in particolare mi riferisco ad un dato su cui credo che dobbiamo riflettere più di ogni altro: la distribuzione territoriale dei risultati delle elezioni.
Dalle analisi il c.sinistra ottiene i migliori risultati nelle aree urbane, basate sui servizi, mentre nelle aree interne, aree marginali o a vocazione industriale vince la destra.
Gli studiosi hanno chiamato questo fenomeno polarizzazione: ovvero la concentrazione di gran parte del reddito e della ricchezza nelle aree urbane a scapito di quelle interne o manifatturiere, che non sono riuscite a sopravvivere alla globalizzazione ed alla digitalizzazione.
Le Marche sono cambiate, e noi non siamo stati in grado di capirlo abbastanza.
Per molti anni lo sviluppo industriale è stato uno degli elementi del modello di sviluppo, mentre oggi le dinamiche che trainano lo sviluppo si sono rovesciate perché nell’economia della conoscenza, i servizi assumono un’importanza decisiva, insieme a ricerca ed innovazione.
Quindi se i servizi si concentrano nelle aree urbane, queste diventano più attrattive anche per le persone e per le risorse economiche.
Ora la politica regionale dovrà fornire risposte a questo disagio, occorre immaginare proposte nuove, nuovi modelli di sviluppo del territorio montano ed interno, in grado di conciliare il passato con le nuove tendenze.
Le Marche possono tornare ad essere un laboratorio innovativo, di riferimento per tutti.
Ma bisogna fare scelte coraggiose: più attenzione al capitale umano ed alla innovazione per le imprese, centri di ricerca in tutte le Università marchigiane.
I trend ci parlano di un futuro più sostenibile. Lanciamo noi una cosa nuova, le Marche come prima Regione green e carbon neutral d’Italia nel 2040. E’ tanto in là?
Forse, ma il futuro comincia adesso.